What their own unseeing eyes have missed*

Lisa Barbieri

“La fotografia pura è definita come priva di caratteristiche tecniche, compositive o ideologiche, derivate da qualsiasi altra forma d’arte”, recitava il manifesto scritto in occasione della prima mostra del gruppo f.64, inaugurata il 15 novembre del 1932 al M. H. de Young Memorial Museum di San Francisco. Ansel Adams, Imogen Cunningham, John Paul Edwards, Preston Holder, Consuelo Kanaga, Alma Lavenson, Sonya Noskowiak, Henry Swift, Willard Van Dyke, Brett Weston ed Edward Weston si presentavano al pubblico esprimendo la loro posizione in modo chiaro e diretto, prerogativa fondamentale anche, e soprattutto, della loro produzione fotografica.

In anni in cui il ruolo della fotografia era riportare il sociale raccontando i drammi della Grande Depressione, l’indagine del gruppo – e più in generale della Straight o Pure Photography – si sviluppava a partire da valori modernisti quali l’apprezzamento della forma e la volontà di utilizzare il codice proprio della fotografia esasperandone le possibilità tecniche. Promotori di un nuovo linguaggio in equilibrio tra estetica e materialità, questi artisti si battevano contro la visione manipolata del reale, utilizzando lo studio degli oggetti naturali come strumento per rieducare uno sguardo plasmato da una cultura visiva sopraffatta dalla propaganda.

“Vedere la cosa in sé è essenziale […] fotografare una roccia, farla apparire come una roccia, ma fare in modo che sia più di una roccia”, scriveva Edward Weston dopo aver fotografato la sua cinquantunesima Eroded Rock: una pietra perfettamente levigata, modellata a spirale da anni di erosione e circondata da contrastanti, ruvidi ciottoli scuri. Didascalica registrazione dell’impercettibile azione del tempo e insieme rappresentazione del tempo stesso, questa immagine forniva un esempio emblematico della tendenza del gruppo all’autoriflessione. Attraverso nitidi e ipnotizzanti dettagli di piante esotiche, rocce e oggetti provenienti dal quotidiano, infatti, l’estrema fisicità del mezzo veniva sfruttata per prendere posizione sulla natura stessa della fotografia, trasformando l’immagine in uno strumento di visione del non percepibile dall’occhio umano.

Se da una parte questo atteggiamento di rigoroso prelievo dal reale sottolineava una estrema devozione all’integrità del profilmico, dall’altra il processo di decontestualizzazione del soggetto portava, paradossalmente, alla produzione di immagini dalle incredibili potenzialità di astrazione. Queste fotografie acutamente delineate e definite erano in grado di distaccarsi dalla materialità di cui erano composte, caricandosi così di una funzione educativa: districarne le complesse strutture allenava alla costruzione di uno sguardo meditativo sul visuale e al tempo stesso apriva alla possibilità di modificare il proprio rapporto con ciò che era stato rappresentato.

Riprendendo le parole del manifesto citato in apertura, nonostante il gruppo f.64 avesse come principale proposito quello di “definire la fotografia come forma d’arte tramite una presentazione semplice e diretta con metodi puramente fotografici”, ha senza dubbio contribuito anche alla costruzione di nuovi codici di rappresentazione, rendendo la fotografia un dispositivo di profonda comprensione del reale.

 

*Edward Weston, 21 marzo 1931, in Nancy Newhall (ed. by), Edward Weston, the flame of recognition: his photographs, accompanied by excerpts from the daybooks & letters, Aperture, New York, 1975, p. 37