The beat, the beat

Elio Grazioli

Che cosa fotografare? Che cosa “documentare”? Non è così facile rispondere, specie dopo tutte le complicazioni che sono sopravvenute con le avanguardie, con la Seconda guerra mondiale, con la diffusione di massa della fotografia. E, d’altro canto, che uomo e che vita sono quelli di quest’epoca? Quali sono gli eventi, che cos’è la realtà, ma soprattutto qual è l’esperienza che ne possiamo fare?

La risposta può essere il beat, il battito, il ritmo, anche se al tempo stesso significa pure battuto, deluso, perfino fallito, pur di tirarsi fuori da un trantran omologante e immergersi invece in un altro flusso. Questo sia esteticamente che esistenzialmente, in modo anzi inseparabile. Le immagini saranno dunque “vissute”.

Mentre William Klein (New York, 1956) cerca nella metropoli i segni del cambiamento in atto, di ciò che della realtà diffusa gli altri non guardano e tanto meno fotografano, Robert Frank si mette per strada, sulla scia di Jack Kerouac, che scriverà la prefazione al libro che ne deriverà (The Americans, 1956). Klein traspone in fotografia le trasgressioni pittoriche dell’Espressionismo astratto, mossi, sfocati, forti contrasti, scentrature, accidentalità, un Pollock della fotografia tanto quanto potremmo definire Frank un Rauschenberg della fotografia, il quale Rauschenberg stava peraltro proprio fotografando in quel modo in quegli anni.

Ma Frank, che non era americano ma svizzero, inoltre scopre, ovvero fa scoprire la “provincia” – dell’Impero, come si usa dire – dove il suo sguardo trova una tinta davvero ancora più inedita dei suoi soggetti. La bandiera che sventola coprendo il volto di una donna alla finestra è l’immagine non solo di quell’America – e, decostruttivamente, dell’America intera – ma anche della fotografia – il diaframma – e dello sguardo del fotografo, “accecato” dalla decisione di scattare, dall’emozione di aver trovato qualcosa, un barlume di senso, “la strana segretezza di un’ombra”, scrive Kerouac.

Il cambio di registro era per molti versi nell’aria: molti fotografi sparsi ovunque, anche in Europa, e in Giappone, rinnovano in questa direzione, ognuno mettendoci del proprio e la fotografia si apre a forme espressive inedite così come a restituire atmosfere e situazioni esistenziali fino ad allora ritenute “soggettive”, individuali, prive di senso condivisibile.